“The days do not end” – dice Travis Bickle. E aggiunge, in uno dei suoi lunghi monologhi, (“All the animals come out at night…”: “ Vengono fuori strani animali la notte; puttane, protettori, ladri, drogati… al mattino i vetri e l’interno della macchina sono sempre da lavare, sopra i sedili c’è di tutto, qualche volta persino sangue…”).

È la New York dell’inferno notturno in Taxi Driver di Martin Scorsese. E Travis è la sua creatura oscura, “un po’ pazzo un po’ profeta”, come gli dice la bella Betsy, l’angelo immacolato che si aggira tra la folla e ne resta immacolato. La frase è una citazione dei versi di “The Pilgrims Chapter 33”, una della più famose canzoni di Kris Kristofferson. E Betsy, l’angelo bianco, dice a Travis che secondo lei gli si adatta alla perfezione.
Bianco e nero: Travis e Betsy. Luce e ombra. Albus e Ater. Il latino classico possiede due termini per ciascuno dei due colori. Ater e niger per il nero e albus e candidus per il bianco. Ater, di origine etrusca è il termine per definire il nero nella sua sfumatura più opaca, spenta. Il cattivo nero, brutto, sporco, triste. A volte, atroce! Un aggettivo che perde il senso cromatico per divenire affettivo. Niger, più raro, è considerato nell’accezione positiva. Esso è il nero brillante, il bel nero naturale.
Di converso, albus è il bianco opaco, neutro, mentre Candidus è il bianco brillante, luminoso. E, come per il suo gemello Ater, ha più una connotazione simbolica che cromatica.

Il nero e il bianco della mia New York in queste foto, sono luminosi. Brillanti. Ora densi ora diluiti. Sono il mio niger e il mio candidus. Nelle forme geometriche. Nella stilizzazione di una città che si presenta priva di vita.
Il quotidiano di Travis, popolato di demoni saturati dai toni scuri della notte, è il nero denso, è il nero dell’inferno. Il suo mondo, la sua New York evoca l’opacità soffocante delle tenebre che si contrappone al carattere traslucido della luce. Una New York oscura, sinistra e mortifera in cui, dice:” I got some bad ideas in my head”: “mi vengono in testa cattivi pensieri”. Solo Betsy, “Betsy in a white dress”, sembra sollevarlo momentaneamente dall’impulso distruttivo e autodistruttivo. Solo lei sembra allontanarlo dal suo chiodo fisso, “ripulire la città dal marciume, cacciare tutto quanto nella tazza del water e poi tirare l’acqua…”

Ma Travis alla fine, il suo quotidiano lo celebra sulla soglia vuota dell’esistenza. L’esistenza di queste fotografie.
Tutta la sua attenzione al dettaglio, la quotidianità le piccole cose della vita di ogni giorno, il diario, la scrittura, diventano il narrare di una sua visione monoculare del mondo. Fino a che il suo desiderio di spogliare la vita di ogni espressione, che lui considera sporca o tossica, sfocia nel dramma. Vuole uccidere sé stesso e invece uccide altre persone. Dopo aver compiuto meticolosamente il suo “travestimento” e armatosi di tutto punto si dirige al comizio di Palantine. Ma qui, scoperto dagli agenti in borghese del senatore, è costretto a scappare e a rifugiarsi nel suo appartamento. Ma il problema di Travis, la domanda al perché lui esista, deve trovare un focalizzazione. E così esce nuovamente dal suo modesto buco diretto all’albergo di Iris, la giovanissima puttana che lui vuole salvare. La sanguinosa Kermesse si conclude in una strage e, in ultimo, con l’uccisione, pure, del cliente di Iris. Poi si punta la pistola alla tempia. Ma la pistola è scarica. Viene acclamato dai poliziotti e dai giornali come un eroe. Il tassista che sconfigge i gangster. I genitori di Iris, Betsy e i colleghi si congratulano con lui. Fine della storia.

Il quotidiano ha innalzato la marionetta, l’illusione della realtà deformata. Il nero diventa bianco. Il mondo schizoide di Travis trova il nesso tra bene e male. La sua città, la sua New York, fa da sfondo alla sua azione considerata audace e coraggiosa. Nel bianco essa cela il nero. La non verità. L’ironia e il distacco dalla compassione. Dalla gravità, dalla sofferenza. La mia New York è questa fase finale: la stasi. Una visione ghiacciata della vita che non risolve la disparità, il male, l’oscurità ma la trascende senza mai averla compresa veramente.
E non importa se il mio nero o il mio bianco siano brillanti o opachi. Nulla è più espressivo, tutto è freddezza, calcolo. Una crescente incrinatura nella superficie della realtà che diventa smorta. Non emozionale. È la New York di queste foto è il tentativo di rappresentare il senso acuto di due mondi in una relazione taciuta. Un microcosmo dove l’indifferenza regna sovrana. Non ci sono presenze. Non ci sono biografie. Resta la muta geometria dell’ater e dell’albus.
Fotografia e testo di INCANTOerrante

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