Giuseppe D’Amico, classe 1958, nasce e vive a L’Aquila dove è sposato e lavora come Dirigente di azienda privata. Laureato in giurisprudenza, ama la musica, la lettura e la cinematografia ma le sue grandi passioni sono i viaggi, la natura e la fotografia che pratica fin da giovane sperimentano molti generi fino a specializzarsi e concentrarsi sulla foto naturalista e antropologica.

Il mio viaggio in Kamchatka – Agosto 2016

La Kamchatka è un posto incredibile, un vero paese di frontiera. Penisola all’estremo oriente della Federazione Russa, è grande una volta e mezza l’Italia con meno di 400 mila abitanti, naturalmente concentrati nella capitale e nei pochissimi principali centri urbani. La natura selvaggia, anche inesplorata, è predominante con paesaggi verdi caratterizzati da molti vulcani, anche attivi.
Il lago Kurile, nella punta sud della penisola rappresenta il luogo con la più alta presenza di orsi dovuta all’importante concentrazione di salmoni rossi. La Kamchatka, infatti, è il sito più importante di riproduzione di salmoni di tutto il continente euroasiatico; per certi versi quasi l’equivalente dell’Alaska, da cui è divisa dal mare di Bering, ma più selvaggia perché rimasta nei secoli più isolata e meno turistica.
Il lago Kurile, rappresenta perfettamente l’aspetto più selvaggio della penisola: si può raggiungere solo con l’elicottero o con un lungo e veramente estenuante viaggio in fuoristrada.
Causa maltempo (l’elicottero non poteva decollare da Petropavlosk, la capitale dove abbiamo pernottato per tre notti sperando che il tempo cambiasse) ho sperimentato questo viaggio all’andata: è stato interminabile ma una esperienza incredibile. Abbiamo attraversato taighe sconfinate con orsi, strade disconnesse, fiumi, tratti di mare e anche avamposti di civiltà; per lo più sperduti villaggi di pescatori e resti di quelli che forse in un passato recente erano piccole città, ora cadute in rovina forse a causa del venir meno delle basi militari che nella vecchia Unione Sovietica risiedevano in questo pezzo di terra prospiciente l’America. In questi luoghi sembrava veramente essere in una ambientazione post atomica… atmosfere incredibili, fotografate dall’interno del grosso fuoristrada che ci trasportava sotto un cielo cupo, senza soste per non perdere tempo.. A parte la sosta notturna, necessaria, dove con un freddo e una umidità pazzesche mi sono ritrovato a dormire su un tavolaccio di legno piazzato all’uopo come giaciglio dentro il fuori strada, tra l’autista russo e una vecchia donna tedesca facente parte della mia stessa spedizione fotografica. Comunque ho dormito bene e la mattina presto ci si è rimessi in marcia.
Arrivati al lago ci si accampa – per dormirci e mangiarci, solo la sera- in un campo tendato, custodito da un avamposto di ranger del Parco. Il campo, dotato di servizi essenziali, è protetto da una recinzione elettrificata, data la presenza continua e visibile degli orsi. Per fotografare, all’alba, sempre esposti ad una fredda umidità, al vento e spesso alla pioggia, una barca ti porta su delle spiaggette, normalmente nei pressi degli estuari di piccoli fiumi che si immettono nel lago e che i salmoni risalgono. Accompagnati da un solo ranger armato ci si apposta all’aperto, senza nessuna copertura, sempre con una forte presenza di umidità se non di pioggia, a pochi metri dalle rive e a pochi metri dagli innumerevoli orsi adulti intenti a pescare senza soluzione di continuità. I cuccioli, invece, teneri e goffi passano tutto il tempo a giocare donandoci spettacoli esilaranti e bellissimi.
Si può assistere così alle più incredibili peripezie di questi grossi mammiferi che mentre pescano, o litigano o giocano, si rivelano incredibilmente veloci e agili oltre che veramente amanti dell’acqua dove passano di gran lunga la maggior parte del loro tempo. La loro velocità, potenza e dotazione di artigli enormi e affilati, unitamente alla vicinanza, ti fa pensare che se volessero potrebbero assalirti e farti veramente male nonostante la presenza del ranger armato. In realtà non si curano della tua presenza e continuano a essere concentrati sulla pesca. Così normalmente … tranne in due occasioni a poche ore di distanza, in cui una grande mamma dominante, con al seguito quattro cuccioli, all’improvviso mi ha ringhiato (ero il più esterno dei cinque fotografi appostati in fila) tentando un assalto, sicuramente non convinto…. altrimenti sarebbero stati guai. Comunque a far desistere la plantigrada è stata anche la prontezza del ranger che gli ha lanciato contro un candelotto fumogeno e luminoso, attrezzo che evidentemente non piace agli orsi. Per quanto mi riguarda non scorderò mai il ringhio di quella mamma orsa che preoccupata per i suoi piccoli troppo vicini a noi ci ha fatto ricordare che lì i padroni sono ancora loro, gli orsi, e la natura selvaggia che li ospita.

Racconto e fotografie del fotografo Giuseppe D’Amico

Altre fotografie di Giuseppe D’Amico sono visibili su questi siti
http://yourshot.nationalgeographic.com/profile/1008068/
https://www.nikonphotographers.it/giusepped_amico2/index.php?module=site&method=biografia
https://www.juzaphoto.com/me.php?l=it&p=10861

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here