Da Bishkek, la capitale del Kirghizistan, viaggiamo per circa sei ore percorrendo la strada che porta a Naryn, al centro del Paese.

Il paesaggio è lunare, orizzonte senza confine, neve e ghiaccio arrivano fino a picchi di 3500 metri; la temperatura può scendere fino a 22 gradi sotto lo zero, anche di giorno, rendendo la vita difficile ad animali e uomini, che lasciano le yurte estive (tipiche abitazioni mobili adottate da molti popoli nomadi dell’Asia centrale) per cercare riparo più a valle. L’aria pura e l’ambiente incontaminato fanno sì che molti Paesi, tra cui anche il Giappone, comprino i prodotti dal Kirghizistan. Purtroppo, però, il cambiamento climatico si fa sentire anche qui. Negli ultimi anni le nevicate sono diminuite in maniera rilevante, rendendo i pascoli più poveri. Gli animali soffrono, i prodotti esportabili diminuiscono e la gente paga il conto.

E’ una terra, questa, che vive prevalentemente di caccia e pastorizia; l’inverno è il periodo migliore per assistere alla caccia con l’aquila.

La nostra guida, Baitemir, che ci ha portati fin qui, ci presenta Murat, un cacciatore di circa 50 anni, che ci ospita con piacere nella sua calda casa. La gente kirghisa è particolarmente ospitale. Ci ricevono i suoi sette figli; la più grande, Nurai, ha 16 anni, parla un po’ di inglese e ci fotografa con il suo smartphone mentre Murat con orgoglio ci mostra le medaglie vinte dai suoi cani. Un grande tappeto colorato: la tavola è pronta. Arriverà un piatto a base di montone e yak servito e cucinato da Kenjebubu, maestra elementare e moglie di Murat.

Secondo gli usi locali, l’uomo è il capofamiglia e si occupa del mantenimento degli animali e della caccia, mentre la donna cucina, serve a tavola, cura la famiglia e la casa. Durante il pasto, il pezzo più pregiato dell’animale viene riservato a noi che siamo gli ospiti d’onore.

Murat insieme al cugino ci spiega come si svolge la caccia con l’aquila, i suoi occhi si accendono mentre strappa un pezzo di montone con le mani. Un tempo, ci spiega, si cacciava solo per mangiare; oggi la caccia al lupo serve per mantenere il fragile equilibrio tra l’uomo, le sue mandrie e la natura selvaggia.

La partenza per la battuta di caccia è fissata per la mattina seguente alle nove. Due cavalli, quattro cani di razza Taygan e naturalmente due aquile gigantesche del peso di circa 7 chili ognuna, stipati tutti insieme dentro un camion anni 80 d’epoca sovietica.

Stiamo andando a caccia di lupi – qui sono tanti – e quando cala la notte fanno branco scendono a valle, entrano nelle stalle, attaccano le mandrie, aggrediscono e sterminano i cuccioli più vulnerabili di yak e di cavallo, fanno strage di mucche, capre e pecore, a volte attaccano anche l’uomo.

Questo rappresenta un grande problema per chi vive solo grazie alla pastorizia e ai prodotti derivati.

Murat addestra aquile da quando era bambino con l’aiuto del padre e l’aquila stessa diventa, con il passare del tempo, un membro della casa tanto che riconoscerà per sempre il suo addestratore, starà con lui e la sua famiglia fino a che sarà in grado di cacciare anche per loro, poi tornerà a volare libera nelle montagne.

“Cacciare è un lavoro di squadra”, ci spiega Murat, mentre insieme al cugino sale sul cavallo con l’aquila sul braccio per raggiungere la cima della collina. Il fumo esce dalla bocca dei cavalli e degli uomini, mentre i cani sono sempre più eccitati.
I due figli di Murat insieme ai cugini sono poco più sotto nella vallata dove il lupo ormai avvistato e braccato sente i cani vicini. Qui inizia la lotta: Murat, vista la scena, si lancia al galoppo e libera l’aquila affamata da una settimana. Quando gli artigli dell’aquila si attaccano al dorso del lupo, per lui non c’è più scampo.

Il colpo finale viene inferto anche con un bastone, mentre i cani a fatica rientrano nel camion. Il fischio di Murat come un sibilo richiama l’aquila, che finalmente riposa sul braccio del padrone. Si torna di nuovo tutti insieme; tutti parlano, gesticolano e strillano, mentre Murat ora guida soddisfatto e rilassato.

La sera rientriamo a casa dove ci aspettano il calore del focolare tenuto acceso dalla moglie e gli altri figli che non hanno partecipato alla battuta di caccia.

Nella nostra testa un alternarsi di pensieri: dalla morte del povero lupo alla sopravvivenza di questa gente.

Facciamo festa con loro, mangiamo yak e beviamo brodo caldo. Le guance dei bimbi diventano rosse. Inizio a scattare foto di ritratti, occhi che ti guardano dentro, cercando di leggerci quel mondo ricco e lontano di cui hanno sentito parlare ma che non hanno mai visto e forse non vedranno mai, ma per una notte siamo li tutti insieme a raccontarci pezzi di vita.

Murat e suo cugino Ahmed domani andranno al mercato a vendere la pelle di lupo ma non dormiranno sonni tranquilli sapendo già che da domani dovrà ricominciare la caccia.

Marco Palombi

Marco Palombi, fotoreporter romano, dagli anni ’90 viaggia per raccogliere immagini e video per i suoi reportage dal mondo. Le minoranze etniche, i popoli nomadi e i contrasti tra occidente ed oriente diventano il fulcro della sua ricerca fotografica.

Dal 2007 pubblica  i suoi reportage su La Repubblica nella sezione “Mondo solidale”. Tra gli ultimi paesi documentati: Haiti, Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Ecuador, Nicaragua, Mali, Burkina Faso, Libano, Iran, Oman, Irak, Kazakistan,  Kirghizistan, Tagikistan.

Il suo lungometraggio “Aspettando domani” girato nella Repubblica Democratica del Congo, è stato proiettato in occasione del Festival Internazionale del cinema, cibo e videodiversità di Trento nel 2014.

Nel 2015 ha documentato dal porto di Augusta in Sicilia il dramma degli sbarchi di migranti, che ricevono le prime cure nei numerosi centri di accoglienza, e il grande lavoro svolto da donne e uomini dell’associazione “Emergency” di Gino Strada.

Nel 2017 in Kazakistan documenta il lavoro disumano dei minatori a meno 600 metri nelle miniere di Karaganda.

Subito dopo sempre con Emergency a Khartoum in Sudan per il decennale dell’ospedale Salam Center.

Fotografie e testo Marco Palombi

 

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here