Aquila bateleur, così definita per la caratteristica abitudine di battere le estremità delle ali mentre vola, come per cercare il bilanciamento. Aquila urlatrice, detta anche la “gridatrice” è un inconfondibile rapace dalla testa e la coda bianche. Sicuramente una delle aquile africane più belle da vedere e da sentire: è stato detto, infatti, che il suo grido potrebbe essere preso a simbolo dell’Africa selvaggia come e più dello stesso ruggito del leone. Giant eagle owl, il più grande gufo del Sudafrica, alto fino a 65 cm, dalle caratteristiche palpebre rosa. Non è l’ennesimo trattato di ornitologia. Sono i rapaci di Jean-Marie Manzoni. Rapaci in picchiata, in planata, a riposo o in volo, nel solco della migliore fotografia d’autore. Jean-Marie Manzoni, fotografo ginevrino, trapiantato ad Ischia da circa trent’anni, è infatti il loro migliore ritrattista. Sono andata a trovarlo nella sua casa immersa nel verde dei Giardini Ravino, ad Ischia. Armata di penna e taccuino, ho abbandonato presto le armi della parola scritta per ascoltare soltanto, e guardare ammirata i suoi scatti. Esposti sui muri di tufo bianco, nella sala dei Giardini che ospita la sua Personale, fino al 4 luglio, recano tutto l’esotismo dell’Africa sub equatoriale nei voli liberi dei suoi uccelli più maestosi. Aquile e falchi ripresi nei toni del bianco e nero, stampati, poi, come acquerelli. Sarebbe logico aspettarsi, in fotografia naturalistica come questa, molti dati a disposizione, particolari sulle specie animali immortalate, dettagli, colori e contesti ad indicarci la provenienza, l’habitat. Nella fotografia di Jean-Marie non vi è nulla di tutto questo. Il risultato non è inferiore, è sorprendente. Una suggestione unica in cui l’occhio del fotografo impressiona, ad esempio, una magnifica ala che spicca, solitaria, sullo sfondo. Un rostro adunco che immagini laceri il silenzio col suo grido. L’impeto di un falco in volo. Immagini che ti colpiscono per la loro dinamicità, l’evidente velocità nella caccia di questi volatili. Eppure l’immagine ha un carattere universale, atemporale, escludendo volontariamente ogni riferimento spazio-temporale. È la magia della fotografia di Jean-Marie Manzoni. Indice che la fotografia naturalistica non è solo mero dato oggettivo, dettaglio documentaristico, ma immagine poetica. L’artista privilegia, infatti, l’aspetto spirituale, interiore, di ciò che accade o sta per accadere. Un senso estetico che prevale sul dato scientifico in una rivelazione nuova fatta di intuito e percezione profonda della realtà. Così mi spiega Jean-Marie Manzoni. Pantaloni kaki, maglia dello stesso colore, magrissimo, parlata dolce, dal lieve rotacismo. Lenta, di chi è abituato alle lunghe attese, ai silenzi della savana. Mi accoglie con un sorriso ed una brocca di limonata ghiacciata a stemperare il pomeriggio torrido dell’isola. Dell’Africa, dove si reca per lunghi mesi per i suoi reportage fotografici, ha lo sguardo fiero. È lui a snocciolarmi i nomi di quei rapaci, solenni nella lotta per la sopravvivenza. Ieratici nel loro volo altissimo. Jean-Marie ama profondamente questi uccelli. Li ha studiati e osservati per anni per fotografare poi soltanto ali, zampe, code. A volte tutto il corpo proiettato sulla preda o intento in un rito amoroso. Sempre con quel rispetto essenziale a permettere tale simbiosi. Si alza, Jean-Marie, dalla sua poltrona in vimini e mi porge la mano. Lunga e sottile. Tra giorni parto per l’Alaska, mi dice. A fotografare i grizzly e le aquile dal collo bianco. Arrivederci Paola. Ci vedremo quando torno. Si allontana. Poi fa qualche passo indietro, come dimentico di qualcosa. – A pensare che non puoi dirmi neanche in bocca al lupo, perché i lupi non li fotografo! – Ride per questa battuta semplice, leggera. Come lui. Così fuori dall’ordinario, così puro.

Incanto Errante – Corriere dell’Isola, luglio 2012 – 

recensione mostra fotografica

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