Copertina Lontano Da Itaca

“Ad Ischia, mia Itaca”… è la dedica che apre l’ opera del suo felice esordio editoriale Lontano da Itaca, pubblicato nel 2009 con la Pentarco edizioni di Torino. ‹Due isole che, per incanto, accomunano due vite parallele e che vedono nell’Eroe greco e in Paola Casulli un binomio perfetto laddove s’intersecano i destini e le aspettative di coloro che sono alla ricerca, quasi spasmodica, di certezze e di identità ›. ‹ Il mare quale topòs che come il liquido amniotico, rimanda alla madre generatrice, diviene l’elemento fondamentale di questa incredibile odissea antica-moderna e da cui tutto genera e tutto ritorna, l’alfa e l’omega della palingenesi dell’essere umano› – Claudia Formigoni in Sìlarus –
La pubblicazione, poemetto in dieci canti ed un epilogo, ‹in cui liricità e drammaturgia si fondono, dando vita ad un linguaggio dalla vibrante intensità ›, nasce all’insegna di quella dote specifica dell’autrice detentrice, come scrive Giuseppe Nasillo nella Presentazione, ‹di una incisiva forza aforismatica, in cui si accompagna un linguaggio tanto personale quanto liricamente vibrante›.
‹Il turgore del verso, la musicalità dell’espressione, la partecipazione profonda, fanno della Casulli un’ ispirata coordinatrice di stati d’animo, in cui il dramma, la pena, l’attesa, talvolta lo strazio e il dolore, si intridono di quell’ ineluttabile, avvolgente alone di fatalità, di cui sono artefici l’imprevedibilità della sorte e l’imponderabile forza del destino›. – Rosario Altomonte –
L’antico amore della poetessa per il teatro e la struttura stessa di Lontano da Itaca, che presenta l’assetto della classica tragedia greca, farà si che il poemetto verrà proposto in teatro in un atto unico, riscuotendo successo, ‹dove il Coro, in tutta la sua drammaticità, diviene testimone interagente delle ataviche vicissitudini antropologiche dettate dal fato› .

 

TESTI

CANTO I

Elena:
Accadde così
Che scorgendo le mie chiome inanellarsi al vento
Restai indietro tra i biancospini in disordine nello screzio della notte.
E potei così sporgermi, dal blu del suo tempo
All’atrio attiguo della memoria, restando di certo
Sorpresa! Sospesa!
Sul profilo demente della guerra, vecchiezza, assenza.
E Troia divenne, allora, l’inospitale roccia,
Vasto spazio di povera terra e desolato silenzio.
Qui sola resto!
Sulle alte mura contando di innumerevoli sere, ritorte da vana luce.
Oh sangue che trasali !
Dagli eroi, e da ogni crepa, discendi sulle mie palpebre
Con baci notturni.
CANTO III

Ulisse:
Fuggire, perché restare?
Il mio pianto non risorge dall’ampiezza di trombe suonate nella caduta
Cavalli zoppi diluviano sulle porte della Città.
Re e Corone cadono, decapitando sulla polvere.
Accecano il mio sangue.
Ogni rovina è erbosa, nell’artiglio dell’avvoltoio
La morte è un cratere: nella sua piaga, gli scettri
Accento cupo di lamenti
Altrettanto estenuante sarebbe abitare questa eternità
Non fosse altro perché ozioso, sarebbe,
Contare punteggiatura di nuvole.
Dalla prua della mia deriva
Ascolto la mia stessa voce battezzata di lacrime.
CANTO VII

Coro:
Sottovoce nella sera i suoi nervi trattengono
Il nutrimento e l’invenzione
E, strette alle sartie, alleanze: comete di scorpioni al sole!
Il coraggio è un ago di meraviglia, oscuro, sulla bussola inespressa:
È appena il tempo di un giuramento,
Sui punti cardinali.
CANTO VIII

Sirene:
Varchiamo i cardini di tutti i mari, demoni silenti e asciutti.
Osceni di impronunciabile grazia
Voliamo un po’ più in là della rossa prua,
Di modo che persino il mare respira il nostro brusio
Risalire da folgori lontane.
Quasi oro il mattino: non cambia la volgare onestà della vita.
CANTO XI

Ulisse:
Lei, la sua bella voce.
Polena alla mia nave, regina bramata.
Mia regina!
Ora, foce che giace sfinita nel grembo del mare.
Senza respiro, né destino negli occhi da dea.
Si è disfatta la stuoia odorosa di giunchi
Sulla sabbia lucente ove soleva aspettarmi.
Il tridente, suo scettro, ed altra stirpe
Uccidono il mio cuore di vecchio.

Penelope:
Indossavo una tunica mortale
Sul petto dal cuore impaziente.
Bacio l’abisso del mare.
Ora riesco a farlo.
L’ampio cielo possiede più azzurro?
Col favore del vento anch’io tramerò sogni d’acqua,
Trainata da carene sommerse.

RECENSIONI

Il Mito tra pensiero e linguaggio

Mitologhemi, simboli che la poesia di Paola Casulli, poetessa esordiente, traduce in esperienza psico-acustica con il poema Lontano da Itaca. La trasposizione in chiave moderna di alcune tra le più note figure della mitologia greca, simboli universali dell’immaginario occidentale, suggerisce un ventaglio di interpretazioni emotive riguardo ai contenuti globali del comune sentire.
Elena, Ifigenia, Polissena, Clitemnestra, Ecuba, Nausicaa, Calipso, Circe, Le Sirene, Penelope, sono figure diverse e complesse del “femminile” e tuttavia accomunate da una medesima esperienza interiore, in opposizione a Tiresia, a Poseidone, e a Ulisse: l’indovino, il dio e l’eroe. Anche il loro agire contempla, di fatto, divinità ed eroismo, entro un’aura di profezia, ma le loro voci sono… fuori dal coro.
Il viaggio che propone Paola Casulli si configura, pertanto, come viaggio nella “storia latente”, a partire dalla follia di Elena, sorpresa e sospesa sulle mura di Troia, rimasta sola sul profilo demente della guerra… e di tutte le guerre. Se le tappe dell’impresa eroica comune a tutti gli umani, sono i sacrifici, il dolore delle madri, l’innocenza violata, l’inganno, le profezie, la conoscenza e le condanne, tutto al fine trova compimento nell’attesa, appannaggio, a quanto pare, esclusivo delle donne, non approdando mai la vela dell’eroe, stereotipo del maschile storicizzato, ad un porto definitivo, e non essendovi rimedio alle cose di questo mondo se non nell’orizzonte scrutato dalla donna…Penelope, capace di avvistare la nave trainata da catene sommerse. È nel mare dell’esperienza interiore, infatti, che l’animo femminile ama viaggiare, cercando di coinvolgere, magari con epedienti da Circe, anche quello maschile. Le mitiche voci femminili, non esclusa quella delle Sirene che risale da folgori lontane, contro al Caos e all’Orrore urlano il loro desiderio di benessere e di pace, stanche di lavare sangue, chiedono amore, consapevoli degli inganni subiti. Elena che tra le mura vagheggiava isolamento e protezione, si ritrovò imprigionata ed è tuttora preda della sua follia.
Si dà qui forse ragione per cui la moderna Penelope ha smesso di attendere il suo novello Ulisse?… svilisce la tela e si beffa della flotta incompiuta che torna senza di lui. Il suo amore si è mutato in pietà e il mondo perfetto delle antiche madri si è de-composto.
Nei bellissimi versi della Casulli, intrisi di patos, è possibile scorgere la misura di un nuovo genere di polemos, risultato dell’odierno conflitto tra pensiero e linguaggio; il mito, da sempre in grado di esprimere l’inesprimibile, oggi si destruttura e si annulla, come si destruttura e si annulla il verso, incerto se cedere all’emotivo o al razionale.
Ulisse, anch’egli eroe de-strutturato, preda costante del dubbio, in balia dell’azzurro capriccio, non è in grado di ritornare alla sua Itaca; resta incatenato all’albero maestro, fluttuante tra Volontà e Coscienza, schiavo di Giustizia e Ordine, incerto se dare ascolto agli Dei, al suo Istinto o al richiamo soave della sua Regina. Così il verso non può che obbedire al fluire di un monologo interiore affrancato da schemi di coerenza, poi che i personaggi sono risucchiati nel vortice della coscienza, fino ad immergersi ciascuno nelle profondità del proprio Essere.
Ma non di annichilimento si tratta, bensì di discese temporanee, per riemergere di tanto in tanto a respirare una boccata di logica… (fattosi il Logos ormai malsano).
Il risultato è quello di una intensa esperienza emotiva dell’ascolto, che induce a navigare tra isole di significati affioranti qua e là, ma sempre…lontano da Itaca, ovvero lontani da qualsivoglia preconcetta verità.

Anna Pacifico



Nella poesia poematica di Paola Casulli il destino dell’uomo sottoposto al volere divino.

Leggendo l’originale lavoro classico-epico, intitolato “Lontano da Itaca”, di Paola Casulli, si ha la sensazione di rivisitare e rivivere il dramma, la tragedia di mitici personaggi greci, coinvolti nelle loro tristi vicende assieme all’astuto e leggendario Ulisse, personaggio dominante del poema a lui dedicato, come si evince dal titolo, che tanto potere sovrumano manifestò nella sue avventurose peripezie attraverso il mondo antico. Si ha così la possibilità di “esaminare” una emblematica campionatura di personaggi della mitologia greca, come l’ha definita il presentatore del libretto, Giuseppe Nasillo, composta in “10 Canti e un epilogo”, a modo di brevi scene di episodi del mondo mitico, riscoperti e cantati in forma letteraria e stile poetico nuovi. Indubbiamente, anzi ne siamo convinti, la Casulli, nel descrivere queste evocazioni mitologiche, avrà avvertito in sé anche un celato rimpianto e una sofferta nostalgia per il suo lido patrio lontano, a ben leggere al sua dedica “Ad Ischia, mia Itaca”, e, ancora più, i primi versi: “Penso un mare lontano, un porto, ascose / vie di quel porto; quale un giorno v’ero”, della poesia di Umberto Saba, che tanto richiamano il mare e il porto di Trieste, così della Ischia della Poetessa, come della Itaca di Ulisse. Perciò, come nelle varie donne mitologiche che canta, si potrebbe intravedere, anche nel suo Poema, ripetiamo, una piccola parte di un suo dramma interiore, ipotizzato al minimo della considerazione intuitiva e riflessiva. Del resto, Paola Casulli è una donna dall’animo sensibile e umano.
Certo la fantasia della Poetessa è stata eccezionale nel rileggere e raffigurare poeticamente il dramma dei veri personaggi presi in esame, facendoli precedere da un Coro di chiaro valore e intento esplicativo. Così la colpa di Elena, per esempio, assume un forte significato di predestinazione ed espiazione nei versi che cantano: ”Pazza, sciagurata sovrana… padri, fratelli, eroi portasti alla sventura”; e ancor più il suo grido disperato:”Qui sola resto!”…”viva di solo mare, vivo sola… perduta ho l’anima!” .
Nel secondo Canto del libro, “ I marinai di Ulisse”, la disperazione del viaggio s’impossesserà di essi, appena avranno capito di come “gli occhi si abitueranno/all’acerba assenza della costa./Il ritorno? Sarà brandelli d’ala sul limitare dei ricordi”. A nulla varranno le incoraggianti parole di Ulisse:” Veleggeranno sognanti… le candide vele,/e i propositi dei miei marinai!”, cosciente di poter continuare il viaggio e di andare oltre sfidando l’ignoto.
Ifigenia e Polissena invece, sono due personaggi mitologici che la ischitana Paola Casulli ha posto nel suo composito epico-culturale come due esempi emblematici e puri del “Sacrificio” umano, sopportato e voluto dal destino per volere soprannaturale. Sicché ben sa Ifigenia che “non sorprenda” il fatto che “L’intercessione che non ebbi da pietà non giunse,/né da compassione”. E per Polissena, il sacrificio sopportato tanto da farle dire: ”Non escludo la dedizione”, e che gli “alibi e innocue promesse… solo siano detriti spettrali di compassione”. Per la due donne greche il sacrificio, dunque, è serena sopportazione di un destino prestabilito, obbligato e dignitosamente sostenuto.
Le Madri, si sa, nella leggenda, nella storia e nella vita comune, hanno avuto sempre ruoli importanti, sia esse regine, nobili o popolane; ma sono state anche “Madri, amalgama di oscura sofferenza”, come ha stigmatizzato bene la Casulli in un verso del Coro che fa da “prologo” al Canto IV – Clitennestra e Ecuba – nel suo lavoro “Lontano da Itaca”. Ad ambedue le regine si addice il verso: “ A sangue versato chiedo altro sangue,/poiché Madre! Fui, un tempo lontano”. Per Clitennestra avida solo di scellerata vendetta del suo Agamennone; per Ecuba, regina generosa e piena di affetto materno per i figli, che, pure alla fine disperata esclama: ”Destituita da ogni premura di madre invocherò Nemesi… e a lungo ululerò: bestia di dolore nella dimora senza pace”. Come sono attuali le vicende di queste due Madri della mitologia greca, se rapportate ai dolori che soffrono per le stragi di guerra e per alcuni scellerati comportamenti, le madri dei nostri giorni!
L’innocenza di Nausicaa, descritta nel Canto V del testo casulliano, poi, potrebbe considerarsi e intravedersi come il classico colpo di fulmine d’amore di ogni donna, così come quello da cui fu colpita la figlia di Alcinoo, nel vedere Ulisse nella sua scultorea bellezza fisica, e avvertire il segreto proposito di accoglierlo nel palazzo e poi sposarlo. Innocenza e illusione della donna di ogni tempo! Ma Nausicaa, anch’essa deve sottostare al volere supremo degli Dei, detentori del destino degli uomini, e perciò, esclamare: “Il rimpianto (per il perduto amore) non mi fa più bella di una fida stella/che mi parla di lassù”, … “Congedata sull’addio”.
Le due dee – maghe – Circe e Calipso – che occupano i due brevi componimenti a loro dedicati dalla Poetessa ischitana nel Canto VI del suo eccezionale poemetto, manifestano la più classica di tutte le forme d’inganno d’amore perpetrato dal genere femminile all’uomo attraverso i secoli. Ci vengono in mente, a questo proposito, ma il paragone regge con debole efficacia, le tante false maghe-fattucchiere che, pure, si sono adoperate e si adoperano anche oggi, addirittura usando i mezzi mediatici, per esercitare l’arte della magia: da quelle streghe medioevali che, spesso, finivano al rogo, fino alle tante decantate “ianare”; la cultura delle quali ha visto una rifioritura di opere e saggi, fra i quali ci piace ricordare l’ultimo scritto su di esse, dal titolo “Le ianare”, della scrittrice Licia Giaquinto. Per le due dee–maghe omeriche è norma, per mettere in atto la loro arte magica e ingannevole, “transitare nella passione” e usare “ il silenzio dell’astuzia”, per tenersi legato a sé, il pure astuto Ulisse, fino a che una decisione divina non lo lascia libero di andare e continuare il suo periglioso viaggio verso la sua Itaca; non senza aver prima, con l’oracolo di Tiresia, “scandagliato i propositi degli Dei” e vinto, di poi, ancora, l’incanto canoro delle Sirene. Intanto Ulisse, ripreso a navigare, “conquista spazi di vetro nella degenza della vita”; per lui “acqua, mare, onda: (sono) tutte vicende senza fondamenta”; e Poseidone lo ammonisce con questi significativi versi casulliani: “Questo mare cosparso di oblii, mercato di ancore e corde,/sia il tuo spazio. Ora!”.
Sicché Ulisse, stanco e preso dallo sconforto di non poter più approdare ad Itaca, grida: “A chiunque: Uomini, Dei o Centauri che siano stati abbattuti/io invoco l’immersione nella dimenticanza./Disprezzo il ritorno e le ampie terrazze di glicini ( della mia reggia)”; “reclamare questa saggia condanna/è l’unica, avvenente, bellezza del tempo rimastomi”. Oh, questa commiserazione si prova per l’uomo Ulisse, l’uomo pur più scaltro e astuto del mondo antico, a leggere i bellissimi e desolati versi a lui dedicati dalla Poetessa Paola Casulli! Dalla sua penna esce fuori un Ulisse profondamente umano “malsicuro”, “innocente” e pure sempre desideroso di vivere il “gorgo nello scorrere del tempo”; preferisco essere, esclama, “sepolto nella corrente sognando chimere nell’alto arco dell’onda”; costretto “ a bramare il fremito stanco/di dita mortali”; mentre la sua amata Penelope è costretta a riconoscere che “si dileguano i sonori sogni all’alba…, ad aspettare che non verrà”… “Dividendo la sorte dalla pietà”. Che “un diluvio canterà un requiem?… spezzerà la morte?”. Non sarà così, perchè Ulisse, anche lui, per origine, è di stirpe divina e, perciò, alla fine delle sue peripezie, sarà, finalmente, “premiato” con il ritorno alla sua Itaca, tra le braccia della sua fedele e dolce Penelope. “La regina bramata”.
Tutto il lavoro della Casulli deve considerarsi un Poema epico-mitologico atto a certificare che il destino dell’uomo è guidato dal volere divino; un lavoro creato, poi, con uno stile classico e con un respiro fantastico-immaginario di sapere nuovo; eccezionale nel rifacimento ispirativi e descrittivo; un lavoro originale e unico nel so genere letterario, che apre un sistema di poetare con un linguaggio e una forma poetica nuova nello stile e nella descrizione episodica degli argomenti trattati. Il testo è arricchito da bellissimi disegni di Giada Floris.

Brandisio Andolfi



PAOLA CASULLI, “ Lontano da Itaca”

Ad Ischia, mia Itaca…, così Paola Casulli dedica la sua opera prima Lontano da Itaca.
In un mero atto d’amore, ella riecheggia alla memoria le sue primigenie origini che di acqua in terra, rispettivamente la prima isola ha dato i natali alla poetessa, mentre la seconda, ad Ulisse, l’inquieto re di Itaca.
Due isole che, per incanto, accomunano due vite parallele e che vedono nell’Eroe greco e in Paola Casulli un binomio perfetto laddove s’intersecano, leggendo attentamente il poemetto, i destini e le aspettative di coloro che sono alla ricerca, quasi spasmodica, di certezze e di identità.
Ulisse, l’eroe umano per antonomasia, porta con sé tutte quelle caratteristiche peculiari della sfera labile dell’uomo, costellata da dubbi (giustificati, peraltro), incertezze e imperfezioni (mai perfettibili), ma nel contempo la incoercibile forza travolgente della ricerca, del sapere filosofico, proprio della mente umana.
Paola Casulli sceglie come suo mito illuminante l’Eroe greco, qui in “veste” molto speciale nella rivisitazione della scrittrice, in quanto Ulisse molto affine ad essa. Il mito greco, voluto così dalla Casulli, disvela in tutta la sua natura, una commistione di sensibilità e carattere deciso come si attaglia all’uomo epico. Caratterialmente entrambi ostici, “isolani” ma atti alla conoscenza e all’esperienza sia trascendentale che immanente. Voglia di “esplorare” i recessi più reconditi della mente del mondo circostante, fluttuano nello sconfinato mare che circonda le due isole (i punti fermi, la vera ed unica certezza). Il mare quale topòs che come il liquido amniotico, rimanda alla madre generatrice, diviene l’elemento fondamentale di questa incredibile odissea antica-moderna e da cui tutto genera e tutto ritorna, l’alfa e l’omega della palingenesi dell’essere umano.
Il poema si presenta come l’assetto della classica tragedia greca, quindi in tutta la sua drammaticità, dove il Coro diviene testimone interagente delle ataviche vicissitudini antropologiche dettate dal fato. La mitologia come “campo” d’indagine perfetto, in quanto – come asserisce il celebre filologo ungherese Kàroly Karényi – essa continua il suo canto oltre la morte.
Medesimo destino è serbato per la poesia in quanto diviene metafora umana in un motu perpetuo, continua il suo perenne divenire. Quale sentimento migliore, perciò, per intraprendere un viaggio nei secreti del destino dell’uomo?
L’opera consta di dieci canti e un epilogo, dieci canti e dieci temi. Per lo più sono voci al femminile, le uniche voci maschili sono quelle di Ulisse, dell’oracolo Tiresia e di Poseidone.
Dicevamo di un mondo tutto al femminile dove grava, quasi per legge divina, il peso del destino nefasto della genia intera. Non donne, dunque, fragili e sottomesse, bensì “detentrici” di scelte difficili e vitali. È come se Nemesi avesse voluto gettare su loro un anatema per l’eterna responsabilità degli eventi umani. Come nel III Canto le Madri: dove Ecuba e Clitemnestra beffate dal loro stesso destino, pagano il fio di una “colpa” di essere state: “Madri, amalgama di oscura sofferenza!”. Calipso e Circe che incarnano l’Inganno (IV Canto), mente l’Attesa (X Canto) s’infrange, morendo tra i flutti, come la labile pazienza di Penelope che qui sceglie la via del suicidio per raggiungere l’uomo che mai più tornerà da lei:”Indossavo una tunica mortale/ sul petto dal cuore impaziente/. Bacio l’abisso del mare/. Ora riesco a farlo (…)”.
Parlavamo della conoscenza, primo atto d’amore per la vita, che ci dà gli strumenti idonei per perseguirla. Così le Sirene dispiegano il loro sensuale canto (VIII di Lontano da Itaca)): “O molto illustre Ulisse, o degli Achei somma gloria immortal, su via, qua vieni, ferma la nave, e il nostro canto ascolta” (Odissea). Atto, dunque, di superbia o come sopraccitato uno slancio di mero amore per la vita stessa? Ulisse, anche qui, si lascia affascinare e segue il suadente richiamo all’incognito, al mistero: “Sarò con voi, dolce astrazione di Sirene!”.
Ma si può sovvertire ciò che dagli Dei è stato già predestinato? “Non è possibile con una mente umana scandagliare i propositi degli Dei” ( Pindaro). Nell’VII Canto del poemetto Tiresia vaticina ad Ulisse che “ Disegno trasversale che fugge dal cerchio felice del sole, è il progetto arcigno di un dio”. Dunque la Condanna (Canto IX) è alle “porte” e al momento propizio Poseidone gliene fa conto: “ Non amasti che la simulazione e l’inganno”. Ma Ulisse non si lascia intimidire e , quale uomo in itinere, affronta gli eventi che la vita stessa gli snocciola nel tempo, attimo per attimo. Anzi, decide che il ritorno, nella ”sua” Itaca non è contemplato nella “mappa” della navigazione che egli, pervicacemente, vuole perseguire. Quindi dice che “ In esilio voglio restare/ tra quest’ azzurre mura rigeneranti/ frantumando ogni distanza che corre vigorosa”. E che solo un diluvio potrà, forse, porre fine alle sue peregrinazioni. Questo, solamente questo, sarà il suo Requiem quale Epilogo della sua vita. Chissà se anche per Paola Casulli, le “azzurre mura rigeneranti” del suo amato mare, potranno un giorno darle tutte quelle risposte e la serenità cui lei stessa tanto anela. Quello status di giusta armonia fisico-mentale.

Claudia Formiconi



 La pregnanza della liricità in Paola Casulli

Itaca, la più famosa delle isole greche bagnate dal Mar Ionio sita a nord del golfo di Patrasso, celebrata da Omero così come la vicina Zacinto (o Zante) ha avuto il proprio cantore in Foscolo, che là era nato, è sempre stata immaginata come il luogo più degli altri presente in chiunque è sospinto dalla sorte ad allontanarsene, pur sapendo che esso non si allontanerà mai da noi, essendo la culla delle più preziose memorie e dei più cari affetti.
Con nel cuore la sua Itaca, ossia l’isola di Ischia, terra natale, Paola Casulli ripercorre un ideale itinerario animato dalla figura di Ulisse e da quelle di altri personaggi che nell’excursus della nostra poetessa lo accompagnano lungo le molteplici peregrinazioni.
Corroborata dal supporto di una non comune sensibilità, l’autrice di Lontano da Itaca struttura questi suoi “10 Canti”, in cui liricità e drammaturgia si fondono, dando vita ad un linguaggio dalla vibrante intensità che si fa fedele interprete dei sentimenti che permeano di volta in volta le emblematiche presenze umane evocate dalla Casulli.
Ciascuno degli scomparti poetici della elegante pubblicazione, compreso l’”Epilogo”, si conclude con la voce di Ulisse, protagonista di situazioni in cui “ab immemorabili” qualsiasi uomo finisce per trovare, in un modo o nell’altro, una parte di sé.

Delio Formantici



 Il mito diventa poesia in Paola Casulli

Forte della sua passione per la componente scenica e della sua conoscenza della materia trattata con elegante caratura espressiva, Paola Casulli ha “scolpito” alcune figure divenute nei secoli simboli di una epopea mitica che continua ad avere perentori riscontri di attualità.
Ne è prova la sua pubblicazione Lontano da Itaca, nelle cui pagine, introdotte da motivate citazioni letterarie, si stagliano i profili di quei personaggi che popolano i 10 Canti seguiti da un Epilogo di questo Poemetto (come recita il sottotitolo) dalla pronunciata valenza drammaturgia.
Come in Sofocle, in Eschilo, in Euripide, il Coro assume una funzione determinante ed è proprio il Coro, anche in questo caso, ad introdurre le presenze che danno i titoli ai Canti, cui si aggiunge di rimando la voce di Ulisse in una triangolazione che coinvolge le aerate ed aureolate, inquiete “cariatidi” parlanti, rappresentate da Elena (La Colpa), da I Marinai di Ulisse ( Il Viaggio), da Ifigenia e Polissena ( Il Sacrificio), da Clitemnestra e Ecuba ( Le Madri), da Nausicaa (L’Innocenza), da Calipso e Circe (L’inganno), da Tiresia (L’Oracolo), da Le Sirene ( La Conoscenza), da Poseidone (La Condanna), da Penelope (L’Attesa) e dal breve Requiem finale che si conclude con un inquietante interrogativo di Ulisse.
La stringata pubblicazione, che reca alcune illustrazioni di Giada Floris, ha il pregio di ricondurci in un mondo in cui l’adamantinità dei sentimenti era destinata a scontrarsi con l’ineluttabilità degli eventi dominati da forze imperscrutabili, al cui cospetto tutto ciò che è umano diventa inerme, fragile, caduco.

Giulio Floreano

Percorsi d’oggi, anno XXV n. 3
Maggio, giungo 2009



 “Lontano da Itaca” di Paola Casulli

Lontano da Itaca segna il felice esordio editoriale di Paola Casulli, poetessa nata a Ischia (che essa chiama “mia Itaca”) e residente a Verona.
La pubblicazione, recante come sottotitolo “Poemetto in 10 canti e un Epilogo”, nasce all’insegna di quella dote specifica dell’ autrice detentrice, come scrive Giuseppe Nasillo nella Presentazione, di una “incisiva forza aforismatica”, in cui si accompagna “ un linguaggio tanto personale quanto liricamente vibrante”.
Introdotti dalla suggestiva voce del Coro, i 10 canti del libro conferiscono consistenza emotiva ed evocativa a figure della mitologia, emblematizzate e gravitanti intorno alla polimorfica, aggregante e sempre presente immagine di Ulisse il quale, unitamente al Coro, fa da liaison per tutte le sequenze metaforiche del corpus in oggetto.
Il turgore del verso, la musicalità dell’espressione, la pertinente consonanza tematica delle citazioni che introducono le concentrate argomentazioni delle scansioni che formano il contesto dell’opera, la partecipazione profonda da parte di chi se ne fa sensibile descrittrice fanno della Casulli una ispirata coordinatrice di stati d’animo, in cui il dramma, la pena, il ricordo, lo struggimento, l’attesa, talvolta lo strazio ed il dolore incontenibilmente denudati, si intridono di quell’ineluttabile, avvolgente alone di fatalità, di cui sono artefici l’imprevedibilità della sorte e l’imponderabile, immodificabile, indecifrabile forza del destino.

Rosario Altomonte

Percorsi d’Oggi, anno 2009



Lontano da Itaca di Paola Casulli

Il libro Lontano da Itaca di Paola Casulli è un poema epico in 10 Canti ed un Epilogo che narra un itinerario emozionale e concettuale, svolto da alcuni personaggi della mitologia greca scelti come metafore della caducità e della precarietà dell’esistenza umana, apparentemente indirizzata verso mete chiare e raggiungibili, ma frequentemente turbata da avvenimenti imprevisti, invero non sempre imprevedibili, che costringono a mutare i riferimenti e la direzione intrapresa, creando ansietà e disorientamento. Lo stile di scrittura è deliberatamente lirico e solenne, pregno di aforismi, evocazioni e musicalità intrinseca, profondamente introspettivo, poiché riesce a penetrare nelle sensazioni più recondite dell’animo dovute alla sedimentazione memoriale dell’esperienza intellettiva ed emotiva, intesa come imprescindibile per comprendere la realtà circostante ed il miglior modo di relazionarvisi senza venire fuorviati dall’istintualità, generatrice di futuri rimpianti.
Alcune opere di Giada Floris, realizzate con pittura a china ed apposizione di stampe cartacee su carta di cotone, e citazioni poetiche di vari autori compendiano i dilemmi nati durante lo svolgimento narrativo, anelante l’eternità, ma nel contempo pienamente consapevole della propria limitatezza rispetto a quel che è infinito, e quindi orientato ad una meditazione pacificante per unire simbioticamente universalità ed intimismo.

Walter Nicolosi

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