Un vento forte scuote le pareti della città. E questi grattacieli,
come scarabei sacri, mi rinchiudono nell’oscurità di vetri a specchi. Faccio finta di ignorarlo. Questo vento forte del Nord. Ma il lavoro, dietro scrivanie di legno pesante, é quasi finito. E la mente è sgombra e sente l’aria che dal cielo arriva fin giù. Tra poco esco. Saluto i colleghi. Un bacio. Un abbraccio. Un Ciao detto col palato secco di inchiostro. E stanchezza. Ma poi, oltre queste torri respira la città e il Vesuvio mi guarda come il grande Totem di terra e fuoco che protegge l’anima mia. E tutti i cristiani stanchi e svuotati di questa città in bilico tra ponti e nuvole. Chiamo l’ascensore. Anzi premo tutti i rossi bottoni pulsanti per vedere quale arriva per primo. Faccio un po’ su e giù nel budello dei quattordici piani che forse qualcuno ha chiamato prima di me. E poi arrivo giù. Il vento. Il forte vento di mare mi inghiotte e polvere entra negli occhi. Mi posiziono leggermente obliqua. Segmento di carne nello spazio. Testa bassa. Mani in tasca e torno a casa.

Incanto Errante

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