Filippine. La forza segreta dell’acqua

Reportage di viaggio di Paola Casulli pubblicato sulla rivista culturale Achab

George è un enorme cane nero. È molto vecchio e risponde appena, con mugolii brevi e ripetuti, alle carezze dei suoi padroni. Non si regge più neanche sulle zampe e ormai, quasi completamente cieco, se ne resta sdraiato sul pavimento in legno della capanna, con il muso rivolto verso il mare. Credo gli basti intuire il blu che si declina in verde a circondarlo da ogni lato; avere memoria di quel paesaggio fiabesco di spiagge di sabbia candida, lagune, insenature e cascate per sentire che sia valsa la pena di essere riuscito ad affrontare il lungo viaggio della vita, lui che è quasi alla fine di quel viaggio. Qui, in compagnia di George accucciato ai miei piedi, una parte di me si sente come un fugace bagliore lunare nell’universo stellato.

Penso alla bellezza e alla forza dell’esistenza radicate in ogni essere vivente e, all’improvviso, un’insolita serenità mi pervade. Forse è la magia di quest’isola che è appena un puntino invisibile sulle cartine geografiche. Sperduta nell’oceano della Bacuit Bay, Modessa Island è solo una delle 7107 isole che formano il variegato arcipelago delle Filippine. Arcipelago che, formato dai tre principali gruppi di isole, Luzon, Visayas e Mindanao, ha in Palawan l’immagine più emblematica delle Filippine, l’isola più bella del mondo.

Seduta sulla spiaggia al tramonto, ho immaginato mille volte Magellano a bordo della sua Trinidad sbarcare finalmente nella baia di Cebu in una calda e umida giornata di aprile del 1521, piantare nella sabbia bianchissima la grande croce di legno della cattolicissima Corona spagnola. Penso a come sia rimasto senza fiato davanti a questo mondo sperduto di giungla e acqua, prima di perderlo definitivamente, il fiato, morendo qualche settimana più tardi per mano del bellicoso capo guerriero Lapu-Lapu a Macton Island. Ma il sole continua a sorgere sulle isole dell’oceano Pacifico. E quando sorge, disegna sull’orizzonte le silhouette delle migliaia di torri carsiche ricoperte di vegetazione che sorgono dal mare.

Filippine , Palawan


Non c’è nulla che sfiori questa superficie immobile e trasparente se non le bangka, le tradizionali barche a vela con i bilancieri, colorate di bianco e azzurro, dei pescatori locali. A bordo di queste esili barche, anche io mi sposto da un’isola all’altra. A volte per giorni interi, altre solo per poche ore. Sbarco in minuscoli atolli di sabbia finissima in un silenzio incontaminato. Luoghi come Blue Lagoon, o Secret Beach o Snake Island, sono inimmaginabili: dal mare, una volta sbarcati, vi si accede nuotando tramite fenditure, spesso sommerse e grandi quanto una serratura nelle pareti carsiche, per spuntare in piccole grotte segrete, inondate dal sole, dove si può fare il bagno in specchi di limpidissimi laghi tra fitte foreste pluviali, grovigli di mangrovie o all’ombra di palme gigantesche. Il paradiso è tutto qui: un territorio ancora vergine e selvaggio sospeso su fondali dove nuotano centinaia di pesci colorati, tartarughe marine, squali balena e dove coralli iridescenti creano coreografie sorprendenti.

Puerto Princesa è la capitale di Palawan, mentre El Nido, fino a qualche decina di anni fa luogo da sogno, è devastata dal cemento, dal turismo di massa e dalla pessima gestione dei rifiuti e dall’ancor peggiore depurazione delle acque reflue. Cause che ne hanno deturpato l’incomparabile palcoscenico naturale.

Quando sono arrivata qui dopo ore interminabili su strade dissestate e fangose, a bordo dei coloratissimi jeepney, ho visto con un moto di sofferenza i monti, che abbracciano la baia dalle pareti a strapiombo, racchiudere un luogo che più nulla ha dell’antico splendore. Rodrigo Duterte, il Presidente delle Filippine, ha approvato la chiusura di El Nido così come dell’isola di Boracay, altro paradiso deturpato, a partire dal 26 aprile. La clamorosa chiusura si basa sulle raccomandazioni dei dipartimenti dell’ambiente e delle risorse naturali (Denr), degli Interni e del governo locale (Dilg) e del turismo che chiedevano di sottoporre questi luoghi a una bonifica necessaria quanto urgente.

Fonti locali affermano anche che il governo stanzierà 2 miliardi di Peso (circa un miliardo di dollari), dal fondo per la calamità, per aiutare i 35.000 lavoratori del turismo a sopravvivere alla chiusura dell’isola di Boracay e concederà nuove abitazioni a tutti gli abitanti di El Nido, costretti a sloggiare per favorire l’abbattimento delle case, alberghi e di tutti quegli edifici costruiti in cemento, per dare spazio a costruzioni in sintonia con la selvaggia natura del posto.

Flippine, Bohol
Filippine, Coron
Filippine, galli di Bohol

Questa iniziativa non ha mancato di causare malcontento in quei senatori del governo che non sono affatto convinti delle presunte ragioni ambientali del Presidente. Figura sicuramente controversa in un paese dilaniato dalla droga, Rodrigo Duterte, da quando nel giugno 2016 ha assunto la presidenza delle Filippine, ha fatto uccidere migliaia di persone dalle forze di polizia. Una carneficina, in nome di una guerra alla droga, che ha visto compiersi crimini anche contro decine di minorenni, uccisi a sangue freddo con colpi esplosi da breve distanza o picchiati e torturati al momento dell’arresto e che sono stati costretti a essere fotografati con della droga in loro possesso. Tutte le organizzazioni internazionali per i diritti umani indagano, oggi, su quella che appare come una licenza di uccidere spacciatori e tossicomani in esecuzioni sommarie e senza processo e che si è trasformata, via via, nella totale impunità per gli squadroni della morte che ne hanno approfittato per eliminare ambientalisti e giornalisti scomodi. Le Filippine, reduci del lungo periodo di terrore, dal 1965 al 1986, del dittatore sanguinario Ferdinand Marcos, sembra stia rivivendo la stessa atmosfera a causa del nuovo presidente filippino. Lo stesso Duterte ha ammesso di aver già gettato dei “criminali” fuori da un elicottero in volo quando era sindaco della città di Davao, la città più importante di Mindanao, dove da anni è in corso una guerriglia indipendentista islamista

Il mio viaggio continua attraverso questo universo di isole. Mi inoltro in foreste quasi impenetrabili, navigo fiumi verdissimi e resto sospesa nell’incantamento di migliaia di lucciole che accendono le mangrovie nelle notti invernali. Mi immergo nei mercati di frutta, coloratissimi e caotici, nelle chiese affollate dipinte di azzurro o rosa pallido, vago per i villaggi di capanne “nipa” dai tetti di foglie di palma, intrecciate da donne pazienti e abili. E non posso non ravvisare una forza ancestrale di un popolo da sempre fiero e indomito. Nonostante le dittature, i tifoni, i terremoti.

Nella foresta di Bohol Island, nel 1997, è stato costruito un santuario di 167 ettari per i tarsi, con lo scopo di proteggere questo animaletto e il suo habitat dall’estinzione. Il tarso, il mammifero più antico che vive sulla terra, è un animaletto di circa 10/15 centimetri, pesa circa 120 grammi e ha degli enormi occhi tondi. Estremamente timido e nervoso, non gli piace essere toccato e, stressato dagli ambienti rumorosi, dai flash dei turisti che, sprezzanti delle regole, lo fotografano, tende al suicidio. Queste splendide creature in genere si lasciano morire di fame oppure si fracassano la testolina contro i tronchi degli alberi.

Ecco, ho pensato spesso al ritorno dal mio viaggio nelle Filippine, che la gente di quelle isole, contrariamente alle tendenze suicide dei loro piccoli amici, non soccomberà mai a destini avversi. Loro sono nella carne dell’universo con occhi e labbra per le comete. Hanno l’indole di George, il vecchio cane di Modessa Island. Guardano sempre al mare. Non perdono mai di vista il vasto orizzonte davanti a loro. Eroici e tenaci, sanno che quella linea, tracciata dal divino, è il viatico di ogni nuovo, prossimo viaggio.

Reportage pubblicato all’interno del numero 3 della trilogia sul Sud sulla rivista:

ACHAB Scritture Solide in Transito                               
Rivista letteraria semestrale cartacea

 

 

DIRETTORE
Nando Vitali

EDITORE Ad est dell’Equatore

REDAZIONE
Athos Zontini (narrazioni)
Gianluca Vitiello (inchiesta)
Claudio Falco e Fabio Buonocore (graphic novel)
Maria Rosaria Vado (direttore artistico)

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