Edizioni Kairos 2011 , Euro 10,00, copertina di Maria Rosaria Vado

Prefazione

Il periplo poetico di Paola Casulli

“Pithekoussai, canti di un’isola” di Paola Casulli, è una raccolta poetica che vuole essere omaggio alla terra natale, all’origine della vita, e non a caso, il titolo è in termine greco: Pithekoussai, cioè Pitecusa, Ischia, volendo alludere metaforicamente non solo all’origine greca dell’isola d’Ischia, ma anche all’origine della poesia classica, all’origine cioè del canto e delle arti. E scioglie il suo canto, Paola Casulli, lungo tutto il libro, che è un ritorno dopo un periplo, un percorso di luci, di borghi, di mare, di angoli, di cieli e di fiori; ma è anche un sentire il canto sesso dell’Isola, che proprio attraverso i suoi unici e meravigliosi scorci paesaggistici e umani, si rigenera e si ripropone alla protagonista e al mondo intero.
E dunque non resta che tuffarsi nella limpidezza e nella trasparenza, sia pure profonde, del canto di Pithekoussai, un canto che giunge vivido, sonoro e luminoso agli occhi e al cuore del lettore.

Dalla prefazione di Giuseppe Vetromile

Testi

Sonetto ischitano

Lassù, alla fine, il sole.
Una benedizione che corregge l’oscurità,
che tempera i sibili
delle pinete. Si desteranno le voci nei vicoli
appena sarà giorno. Tu, verrai a prendermi
sotto la casa con la veranda socchiusa
a portarmi sguardi puliti.
Chiameremo le nostre estati con le maniche arrotolate
e i sandali ai piedi
e i pesci ci daranno da mangiare e la terra offrirci frutti.

Tutti saremo figli dell’Isola arrivati dal mare.
Tutti avremo fianchi arrotolati di sabbia
e scogliere in ritardo sull’onda.

Siamo noi quelli,

Uomini
che stiamo in mezzo alle stelle
con le mani umide, incrudelite dal freddo
e facciamo finta di morire

risorti poi,
sul rettilineo leggero dell’alba.

Da Punta Mulino

Era ieri la bella estate
e, se l’onda lieve
era goduta nell’oscurità,
lontano, sul colle
le finestre erano tutte
in principio di luci.

La guardo da qui, la mia isola. Mia riconciliazione

fenditura sul petto

non misuro alcuna distanza

l’ho nutrita stanotte, di audacia e verdetto.

 

Recensioni a “Pithekoussai”

Segni ed Eventi

Da tempo sono affascinato dalle antiche culture del Mediterraneo, in primo luogo da quelle che vengono definite “d’epoca omerica”. La Geografia, allora, era la scoperta del mistero della creazione della Terra, che gli uomini potevano man mano disvelare col permesso degli Dei, mentre la Poesia era la ricerca del suono che legava Terra e Cielo, Umano e Divino. Capirete, quindi, come l’invito di Nando Vitali, direttore editoriale di Kairos edizioni, alla presentazione del libro di poesie «Pithekoussai: Canti di un’Isola” di Paola Casulli, ischitana che da anni vive a Verona, mi abbia incuriosito. “Pithe-koussai”, infatti, è un nome arcaico di Ischia, quello datole dagli Eubei, popolo greco che legò il commercio del Mediterraneo orientale a quello occidentale dominato da fenici ed etruschi. Il libro è stata presentato venerdì scorso, 4 novembre, alla galleria HDE (Napoli, Piazzetta del Nilo, 2) da Annamaria Pugliese, artista visiva, e da Tjuna Notarbartolo, scrittrice e giornalista. Se la prima parte del titolo specifica il luogo e richiama un’epoca, «Canti di un’Isola”, invece, evoca quelle sonorità orfiche cui inclina Paola Casulli anche se c’è da dire subito che se il titolo invoca forte una sapienza antica, le poesie svelano una modernità, una contemporaneità inaspettate. E poi le quarantasette liriche sono commentate da sei fotografie in bianco e nero, scattate dalla stessa Casulli, che sono piccole icone in cui l’ombra apre alla luce; il corpo dell’isola viene così messo a nudo in modo delicato e voluta mente velato, per quanto protagonista sia forse ancora più il mare che l’isola a cui fa da sfondo: «Il mare coricato / parla del suo corpo a chi torna con valigie d’azzurro / …il mare / sulle mie ginocchia / a me che guardo, /da terrazze profumate di zenzero / cortili nudi e senza pudore» (“Mare Amore”).
In “Attracco”, così la memoria evoca i ricordi: «Qui giungemmo di estate tanti anni fa / la grande nave ci cullava / il fiato dell’isola scendeva dalla muraglia / di profumati pini prima che tu potessi dire o fare». Ancora, sono le emozioni che legano il Cielo alla Terra e al Mare nella poesia “Riflessi a Sant’Angelo”:«Non sapevo nulla del riflesso che dà la luna / sui muri bianchi dei vicoli / tutto tace e si raccoglie. / Così pure il ragazzo sguscia / al pari di una cavalletta blu / dietro la barca scrostata di immenso mare». Ma la delicatezza e la padronanza di un linguaggio poetico originale, infine, esplodono in quei versi che vedono la natura trasfigurare nella figura, umana troppo umana, della poetessa: «Si riveste la spiaggia di seta intatta /senza più prosa e disabitata / lascia che il giorno scalzo, col suo trionfo, / se ne vada in un altrove di schiamazzi / fertili e più accoglienti. / Sola io, passeggio nella penultima onda» (“Sera a San Francesco”).

Angelo de Falco



Paola Casulli, Pithekoussai. Canti di un’isola, Kairos Edizioni, Napoli, 2011

Direi subito che Paola Casulli dimostra di possedere una grande padronanza della “materia” poetica. E si tratta di una padronanza consapevole e autorevole. Questa è una pre- rogativa importante, perché sono molti gli autori, soprattutto in poesia, che producono testi con la convinzione che si tratti di poesia, di buona poesia, ma che in effetti, con questa ben poco hanno a che fare: a volte per il desiderio impellente di veder realizzata la propria opera, con la conseguente scarsa cura nell’approfondimento e nella necessaria revisione della stessa; altre volte per effettiva pochezza di contenuto, di ori- ginalità e di stile. Questo libro di Paola Casulli lascia intra- vedere, invece, un grande lavoro “a priori”, soprattutto di intuizione e creazione poetica, poi di rielaborazione e di “confezionamento”, senza tralasciare nulla, dalla cura della singola parola, al giusto susseguirsi delle liriche in un corpo poetico compatto e organico, ma che lascia anche molta li- bertà e respiro a ogni singola poesia. Il libro della Casulli, come tanti altri buoni testi di poesia, è insomma la classica punta di iceberg, che mostra il tesoro poetico racchiuso nello scintillio della parte galleggiante, ma che cela tutto un mon- do meraviglioso e sommerso. Che potrà generare, sicura- mente, altri tesori in altri tempi e luoghi, in altri mari. E qui di mari si tratta, di cieli e di terre natie, Ischia per la precisione, dove l’autrice venne cullata per la prima volta. Prima o poi si ritorna sempre a casa, fisicamente o anche semplicemente con il cuore, con i ricordi, e con la poesia! Questa raccolta vuole essere, anche, un omaggio alla terra natale, all’origine della vita, e non a caso, io penso, il titolo è in termine greco: Pithekoussai, cioè Pitecusa, Ischia, volendo forse alludere metaforicamente, tra l’altro, non solo all’origine greca dell’Isola d’Ischia, ma anche all’origine della poesia classica, all’origine cioè del canto e delle arti.

Antonio Spagnolo 

dalla rivista IL CONVIVIO n.4 del dicembre 2011



 

Ischia, intesa come terra dell’anima si ripropone attraverso la poetica di Paola Casulli nei paesaggi, negli odori, nei fiori, nelle atmosfere. Ma non è solo questo perché le liriche radunate in “Pithekoussai – Canti di un’Isola” (Kairòs Edizioni, € 10,00, pp.72) hanno una densità espressiva che forma quasi un poema unico e rappresentano forse un pellegrinaggio, inteso in senso alto, un ritorno alla propria terra, per coglierne i segreti, come un novello Ulisse che anela la sua patria, la sua Itaca.
Un titolo greco allora: Pithekoussai, un ritorno alle origini greche, di quando Ischia si chiamava Pitecusae ma anche un omaggio alla poesia greca, alla poesia primigenia, perché in queste intense liriche che Paola Casulli dedica ad Ischia appare tutto il fondamentale humus delle nostre radici, di ciò che di profondo ci lega alla terra natia.
Per Paola Casulli Ischia rappresenta proprio l’inizio di tutto, poiché lei è originaria di questa terra in quanto vi è nata, pur lasciandola a pochi mesi per seguire il padre che viaggia per l’Europa. Però il legame con Ischia rimane forte e fondamentale nella sua vita, ed è un eterno ritorno per riscoprirla, ritrovarla, come dimostrano queste 47 liriche di affascinante vena poetica.
Dalla poesia di Paola Casulli emerge dapprima ciò che appare visibile di Ischia, appunto i paesaggi, i colori, gli odori ma soprattutto è insito in queste poesie ciò che è nascosto nelle pieghe dell’isola, ciò che rappresenta il suo fascino segreto. Qualcosa che parla al cuore al di là dei tramonti, del mare, al di là dei suoni consueti.
Perché Ischia, per chi la ama e la conosce bene ha questa duplice valenza: dapprima incanta per la bellezza dei suoi paesaggi, delle atmosfere, ma infine cattura come un canto delle sirene per quello che risiede nei suoi significati più profondi, in ciò che non appare ma è più forte e coinvolgente del significato che emerge agli occhi di tutti. Una dolce malia che incanta e fa desiderare di appartenervi. Questa seduzione nascosta è comune, come una costante, alle isole, alle terre circondate dal mare che hanno una indole appartata, lontana dagli affanni del quotidiano e dunque rappresentano un mondo altro. Un mondo, per chi lo conosce e lo sa cogliere, per chi non è viaggiatore frettoloso, che sedimenta le ore, i giorni, il tempo, che aiuta alla contemplazione, alla riflessione, affina le sensibilità e i sentimenti poetici. Pertanto è l’ammaliante e celato fascino che promana dall’isola che Paola Casulli recupera e porta alla luce. Attraverso di esso, come per magia, si dispiegano memorie, ricordi, i giorni vissuti sull’isola, immortalati in una forma poetica di ineludibile spessore che arriva diritta attraverso un linguaggio poetico alto e che non si compiace, con una precisa scelta nelle parole che si trasformano in suoni, metafore, visioni.
Una poesia che scava nella struttura dell’isola, che ne restituisce un sentire intimo e profondo, lontano da clamori ed oleografie. Ma anche una poesia che parla di memorie comuni, di gesti usati, dove si percepisce una appartenenza condivisa, isolana, che proprio in quanto tale ne conosce i codici, i segnali, le alternanze di voci che la rendono, in questo, universale: sul verde intonaco dell’orizzonte tornano i pescatori con l’iride nell’oscurità nell’ora che batte le ritrovate sponde.
Una poesia visionaria che comunica anche per immagini, per visioni poetiche, facendo emergere, attraverso una sapiente architettura le emozioni, i languori dell’estate, il trascorrere del tempo: presto arriverà il Mese languido – e andremo – la nostra splendida città ammaliata. In conclusione una poesia che si fa leggere e coinvolge come una terra assolata e un mare necessario alla vita del quotidiano.

Delia Morea



Paola Casulli, Phitekoussai. Canti di un’Isola, Kairós Edizioni, Napoli 2011

Sono una serie di istantanee, come le foto con le quali s’alternano nelle pagine del volumetto, queste poesie di Paola Casulli dedicate alla sua isola, Ischia. Un catalogo di raffinate impressioni suscitate dai luoghi lungo i quali i versi ci accompagnano nominandoli, e così facendoli essere sulla carta. Casulli, per adoperare un’espressione di Vittorio Sereni, canta dunque la sua “patria poetica”, vero locus amœnus per la poetessa, che a esso torna costantemente e che dispiega la propria geo-poetica. Ma essendo qui protagonista il mare, il Tirreno, il Mediterraneo, possiamo senza meno adottare l’espressione che ci suggerirebbe Predrag Matvejević: talassopoetica. Sempre come direbbe lo studioso ex-jugoslavo, più che di paesaggio, per questi versi dovremmo parlare di maraggio o talassaggio.
Un primo esempio in un testo intitolato, con un calembour, Mare Amore (p. 20)

Il mare coricato
parla del suo corpo a chi torna
con valigie d’azzurro.
Il mare scavalcato
Il mare sollevato

Il mare
sulle mie ginocchia
a me che guardo
da terrazze profumate di zenzero
cortili nudi e senza pudore

Abbiamo riprodotto i versi con la loro giustificazione centrale originaria, che è quella seguita in tutta la raccolta, perché essa, con l’alternanza di versi brevi e lunghi, ci dà ragione anche del moto ondoso. Qui, senza dubbio, la terra è alle spalle – seppure la breve estensione d’un’isola – e lo sguardo corre sulla distesa d’acqua, pronto a salpare. E Salpando è il titolo proprio del testo successivo. Ma ancora un altro esempio, nel quale entroterra e distesa marina giocano dialetticamente tra di loro: le “voci campestri” negate dai “costretti silenzi” del Mediterraneo – e Mediterraneo è il titolo (p. 23):

Seduce i viaggiatori toccati dal miraggio
delle molte albe stese nel biancore.
Il blu oltremare appare esile
su masserie meditabonde,

voci campestri e oratori di passi
non lo riguardano.

Così è il Mediterraneo
così i costretti silenzi

di certi desideri, ulivi di vivo palpito
respirano.

Laddove il palpito e il respiro delle piante (qui di nuovo sulla terra, ma una terra dai frutti così (‘mediterranei’) ci ricorda quegli “ulivi incielati” dei quali, nei suoi romanzi, sorta di poems en prose, scriveva all’altro capo dello stesso mare, in Liguria, Francesco Biamonti, cantore del mare e delle terre di mare. Più direttamente viene invece richiamato un altro scrittore di cose di mare, l’autore, tanto per dire, de Il vecchio e il mare e diIsole nella corrente: “e mi sentivo uno spiritello di Hemingway / quaggiù, dentro me, fendere il legno delle assi / scricchiolanti di versi e di poesia” (p. 42), scrive Paola.
Sul paesaggio marino alita poi sempre un salmastro Vento del Sud che, montalianamente, “Scava, svuota, prosciuga” (p. 31); “Nei venti di bonaccia si riposa / disincagliando astri dal volo / libero dei gabbiani” (p. 46: il riferimento è a Il faro di Punta Imperatore). E ancora, di nuovo in questa dialettica terra/mare: “Rapido! Rapido! Vento / cuci la roccia al mare in unico cielo!” (p. 62). Se il mare evoca luce e vento, la notte ridesta però “strategie di luci”, “coriandoli di luce” (pp. 52-53) lungo la costa. E qui, come in un controcampo, la prospettiva è rovesciata: non più terra-mare, ma mare-terra. Comunque con un forte senso della primordialità della natura che ha echi pavesiani (e se il poeta torinese sembra più il cantore di terre e città dell’interno, egli è però anche l’autore della folgorante I mari del Sud). E scrive Paola: “Così pure il ragazzo sguscia / al pari di una cavalletta blu / dietro la barca scrostata di immenso mare” (p. 40). E Pavese è senza dubbio evocato più esplicitamente quando perentoriamente si scrive: “Era ieri la bella estate” (p. 48). E come Pavese, anche se in modo diverso, la poetessa gioca con l’impasto materico e fonetico stesso delle parole che adopera su queste “pagine mare” (p. 39). Come onde sembrano giocare qui le parole: “ruzzola ruzzola in cumuli tiepidi / di acquazzoni” (p. 44). E i fonemi si mescolano tra di loro come, nelle onde, acqua con acqua. Il gioco delle onde, mimato dalla disposizione dei versi, viene qui ripreso, molecolarmente, dall’interno stesso della massa d’acqua. Ma la scrittura agisce anche sull’universo dei colori, nell’esasperata e raffinata loro denominazione, quasi a suscitare coloristicamente lo stesso paesaggio meridionale: “roccia… rosso-granata” (p. 16), “nero-prugna nei vigneti” (p. 32), “verde intonaco dell’orizzonte” (p. 62).
Se poi l’invocazione al proprio mare ha qualcosa di mitologico (“Sveglia il tuo coraggio / distanzia la mia notte / Mediterraneo! // che ti ricomponi / che non cambi linguaggio // pur morendo, resti / immortale… ” ; p. 67), anche nel senso di ciclicità che si avverte nelle eterne vicende marine (ciclicità trasmutante che trapela anche dall’evocazione dei quattro elementi naturali e mitici acqua aria terra e fuoco che percorre il volume), ebbene, questa tensione mitica si fa, anche in questo caso, scrittura. E già nel poemetto d’apertura, i continui incisi segnalati graficamente dai due trattini che li racchiudono e isolati dal verso, ci danno come il senso dell’irruzione del coro delle antiche tragedie greche: “- E andremo -”, “Tenace stringici -”, “- Soccorrici -”, “Seducete -”, “- Salvaci -” (pp. 15-17). E tutto il componimento, Forio, ha un andamento solenne con gli incisi che per lo più sono richieste d’aiuto. Infatti, pur tutta la tensione del ritorno al luogo d’origine, alla propria patria poetica, non può impedire che anche la “luce promessa” (p. 35) cui pure si aspira illumini in fondo “uno spazio illusorio” (p. 49) qual è quello d’un’isola, un’isola come è, nel mare del tempo, la nostra vita. Un’illusione.
Il mito, con il suo rito, instaura una ripetitività circolare, un tempo particolare, un kairós che sembra, con il suo cerchio incantato, dare eternità alla nostra parabola e al luogo che la contiene, al di fuori della tirannia di kronos. Così, Paola Casulli dà anche un titolo greco – l’antico nome di Ischia – ai suoi in-canti di un’isola.
Che poi i Greci credessero davvero ai loro miti, come si chiede ad esempio un Paul Veyne, è un’altra questione. La poesia, parente del mito, può pur dar fuoco alle “zattere del tempo” (p. 68), e popolare di rose e fauni le “righe dei vigneti”.

Enzo Rega



 

PAOLA CASULLI, PITHEKOUSSAI Canti di un’Isola

Giuseppe Vetromile nella prefazione di Pithekoussai Canti di un’Isola, assicura che la poetessa Paola Casulli, descrive un percorso poetico, in cui il lettore può gustarne i versi, secondando sensibilità e comprensione. Altresì asserisce che la raccolta ha un taglio poematico in cui appare l’eleganza dello stile “senza essere eccessivamente progettata e costruita”.
Va precisato che il titolo ricalca l’antico nome greco di Ischia, ove il lettore, novello argonauta, attracca sulle sue coste (per stare in tema marinaresco), per scoprirne storia e bellezza, come pure per il richiamo ai valori ancestrali e alla loro rivalutazione. Una sorta di antropomorfismo rende più cara l’Isola, ma le foto riprodotte in piccolo, purtroppo non rendono giustizia al suo fascino.
Solitamente la poesia di memoria pesca nell’infanzia, età della purezza. Invero offre un richiamo a quanti, oggi, per varie ragioni sono costretti a separarsi da luoghi e affetti, finendo talvolta per esserne definitivamente distratti. Non così per la Nostra che con raffinatezza e passionalità, propria di chi ha qualche rimpianto, tiene insieme con la nostalgia del luogo amato, anche la forza evocativa del suo vissuto e della riscoperta delle proprie origini, identificando l’Isola con la propria genitrice. Il suo discorso travalica i confini fisici per farsi interiorità.
La Poetessa ora esalta la sua Ischia, le località amate da turisti inglesi e specialità gastronomiche a base di “spaghetti e vongole e lauti denticelli.” (p. 42); ora ne è amareggiata, per l’abbandono, la trascuratezza, cui versa come tante altre parti d’Italia; così la nafta ne inquina le acque, l’incendio ne devasta la faccia. È come se venisse sfregiato il suo sposo, non sentirsi più avvolta dalle sue braccia.
Sono citati, separatamente, gli scrittori viaggiatori Robert Byron inglese e Ingeborg Bachmann austriaca, come fari luminosi, che albeggiano sulla sua Ischia. Faro e rosa dei venti, per naviganti, radice della cultura, culla di pescatori. Immaginiamo la Poetessa che nell’attesa del viaggio, che la riporti nell’Isola, pianta “bulbi di certezze”. Le descrizioni dei luoghi e villaggi dell’Isola, sono stupende, delicate e appassionate: “Nell’ora zafferano della sera/ tacciono l’ali sulle alte/ guance del cielo.” (17). Così Forio sonnecchia con il suo Torrione, che sfida “lo stipite del Tempo”; Casamicciola offre ai suoi occhi una “distesa di resina”; così pure Citara, Punta Imperatore e Ischia Ponte. Così i villaggi che testimoniano la religiosità degli isolani, con le loro denominazioni: San Francesco, le luci di San Vito, la ‘terrazza di Sant’Angelo’, San Montano, Santa Maria a Zaro.
Paola Casulli ‘Sul pontile’ di Pithekoussai Canti di un’Isola, pare avvertire e farci ascoltare, il cigolio, “un rimorchiatore riottoso/ traina la sua stanca china/ bofonchiando di vecchiaia” (38). Prova beatitudine nel ricordo del tempo ivi trascorso; confessa: “Ma ora – tacciono i miei pensieri e – mi addormento” (45). Nel suo sogno gode dell’abbraccio della sua Ischia, del suo gemello: lì “il bizzarro balbettio della morte” si allontana cedendo il posto al giubilo.
Paola Casulli frequenta la sfera seduttiva della scrittura in una scansione temporale di serrata finitudine laddove il lirismo esteso del suo immaginario implode in una dimensione metafisica che permette uno sguardo molto più penetrante su tutte le situazioni della vita. La raccolta diventa, così, un’appendice alata, aperta alla libertà per esorcizzare il disagio intimo, l’isolamento immaginario, il flusso indistinto di sensazioni in un’apparente metamorfosi dove predomina la valenza di una poesia visiva unita a un pregnante cromatismo.
Tito Cauchi

 

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