21 marzo Giornata della Poesia: ma davvero ce ne dovremmo ricordare? I frequentatori abituali dei Social, quelli in possesso di una media cultura, sbandierano oggi citazioni e produzioni autografe. Spesso lo fanno anche nei restanti 364 giorni dell’anno. Perché, si sa, gli Italiani sono un popolo di Santi, di Navigatori, e di Poeti. Sublimata la santità nello spirito di vini e liquori d’annata, intrepidi naviganti della Rete, tutti si scoprono Poeti. La poesia è bella. La poesia consola dalle brutture della vita. La poesia mostra quanto raffinato e sensibile sei dentro. La poesia seduce. Quando la vita delude, la Poesia consola. Restituisce un po’ di bellezza. Ma in questo sbandierare poesia ovunque, stride un silenzio importante: quello dei grandi Poeti. In un ronzare indistinto, in mille voci incoerenti come strumenti da accordare, a mancare è proprio la musica della grande Poesia. Quella vera. Vedo gente disperata dietro ai reticolati. Famiglie in fuga dalla guerra a pochi chilometri da me, nella civilissima Europa che gira la testa per non guardare. Bambini come bambole rotte portati dalle onde a riva, sulle spiagge che hanno dato vita a una civiltà che ha inventato la democrazia. Politici corrotti e indifferenti al dolore, dietro bandiere diverse. E il silenzio di chi potrebbe dire. Una volta esisteva la poesia civile. E i Poeti, gli Intellettuali, di fronte al Male gridavano la loro indignazione, la loro protesta. Oggi chiudiamo lo sguardo sul nostro libro personale di poesia, su pagine che sono uno sfogo introspettivo e autistico, per fare a finta di dimenticare che, alzando lo sguardo, si apre davanti a noi una prospettiva di sofferenza impossibile da non vedere. Non credo che abbia senso celebrare una giornata della Poesia, quando si dimentica che il dolore non può essere solo nostro e là fuori c’è gente che aspetta di essere guardata, di essere considerata come parte dell’Umanità.

Raffaella Terribile

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