Sono state almeno due le volte che ho rischiato di farmi investire dal tram rosso che sferraglia al centro di Istiklal street. E, per altrettante due volte, solo il braccio del mio uomo prontamente allungato verso un lembo del mio vestito, mi ha impedito di farmi molto, ma molto male. Un po’ è stato il mio modo di sempre di camminare, lento e pensieroso, a rendermi distratta. Molto è stato il caleidoscopico, lungo Viale a ipnotizzarmi. Proprio come nel Tubo nel quale minuscoli pezzetti di vetro colorato vengono riflessi da specchietti lungo l’asse longitudinale, Istiklal street è invasa da una folla variopinta, immensa e vociante. Durante il periodo Ottomano la strada si chiamava Cadde-i-Kebir, Grande Viale, ed era costantemente attraversata da intellettuali, stranieri da tutto il mondo e dai francesi che la chiamavano “Grande Rue de Péra”. È una delle vie più famose di Istanbul. Tre milioni di persone al giorno per i quasi suoi tre chilometri di bellezza e fascino. Tre chilometri. Dalla medioevale Galata alla moderna Piazza Taksim. Poi, nell’ottobre del 1923, il trionfo della Guerra d’Indipendenza turca. Da allora il Viale assunse il più esotico nome di Istiklal Caddesi, Viale dell’Indipendenza. Io, per un po’, sono stata quel tre milioni più uno. A percorrerla tutta. La strada di Beyoglu. A tenere il naso in su per scorgere i locali alti degli edifici. Spesso ospitano terrazze immerse nel verde dove ventole pigre spostano un pochino l’aria calda e ti viene servito chai così bollente che ti scotti le dita o la lingua. Allora aspetti che si raffreddi e lo guardi, ambrato e luccicante, nel suo minuscolo bicchierino a tulipano. Seduta sulla minuscola sediolina dov’è difficile restarci in equilibrio, ti chiedi quali traiettorie misteriose traccino tutte quelle persone quattro piani più giù. Come vivano i venditori di castagne, gli studenti, i poliziotti. Quante e quali religioni si mescolino al profumo delle rose, vendute agli angoli del Viale. Aspetti che il tuo chai si raffreddi e quando si è raffreddato incominci a berlo, lentamente….. e i pensieri svaniscono. I piedi si fanno leggeri. Gli occhi sfiorano i minareti lontani. E, con un sorriso, ti chiedi dove cada l’accento: Ìstanbul o Istànbul. Decidi di costeggiare l’indecisione. Di sospenderti su entrambe le probabilità. Giro lo sguardo sugli occhi verdi dell’uomo che mi ama e che è seduto accanto a me, in silenzio. Il mio Bosforo. Il mio ponte sospeso sull’acqua. E tutto ha calma e senso.

Racconto e fotografia di Incanto Errante

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